Nel cuore di Sorrento, a pochi passi da piazza Tasso, c’è un luogo dove il tempo sembra rallentare e ogni piatto richiama qualcosa che è stato e continua a vivere nel tempo — e perché no, anche fuori dal tempo. Questo luogo ha un nome estremamente evocativo: Vrasa. Nasce da un’thought coltivata con pazienza, amore per la terra e visione contemporanea. Il nome rimanda alla vrasera, il braciere delle case napoletane, e alla brasa degli asadores spagnoli: un anello di congiunzione simbolico fra tradizioni lontane, ma unite dal fuoco, rito primordiale di accoglienza e trasformazione.
Un giardino rigoglioso, un orto vivo, un cocktail bar all’aperto e una sala luminosa incorniciata dal verde: l’atmosfera di Vrasa è intima ma aperta, elegante senza rigidità. È lo spazio ideale per un progetto che fa della materia prima e del gesto il proprio centro.
Con l’arrivo in cucina di Alberto Di Martino e Raffaele Eroico, giovani chef con esperienze significative in contesti di alto profilo, la proposta gastronomica si è rinnovato con rigore e freschezza. Il menu si è arricchito di attenzione alla sostenibilità, alla valorizzazione integrale degli ingredienti e a una cucina che è, prima di tutto, pensiero.
Durante la cena, il percorso degustazione “Orto e Brace” si è snodato in quattro atti, preceduti da un aperitivo nel giardino del locale, tra cocktail di benvenuto e piccoli assaggi. La filosofia che guida ogni piatto è chiara: zero sprechi, rispetto assoluto per la natura e una continua ricerca del gusto a partire da ciò che comunemente viene scartato. Ogni piatto è un omaggio al vegetale, alla terra, al mare e al fuoco.
Il racconto nei piatti: l’estetica della brace, la poesia dell’orto
Ogni portata da Vrasa è un piccolo quadro, un esercizio di armonia tra materia, fuoco e visione. L’esperienza si apre con un benvenuto lieve ma incisivo: delle cozze servite con anelli di zucchina e peperoncino candito, aggrappati a uno spiedino, seguite da una crema di burro montato accompagnata da chips e pane a lievitazione naturale. Un gioco cromatico tra bianco, nero e verde muschio prepara il palato e la mente alla filosofia della casa. Il messaggio è chiaro sin dal primo assaggio: qui ogni dettaglio ha un senso, ogni elemento ha diritto a esistere.
La tartare di manzo – servita scenograficamente sull’osso dell’animale – arriva come una dichiarazione di intenti: non si butta nulla, si restituisce dignità a ogni parte. Il rosso vivo della carne cruda è punteggiato dal viola terroso della barbabietola e dalla cremosità di una maionese aromatizzata, con be aware orientali e vegetali che si intrecciano a radici croccanti e chips di loto e un chutney di dattero.
Poi il carciofo, forse il piatto simbolo di Vrasa: apparentemente semplice nella presentazione essenziale, ma potente nel gusto. Arso all’esterno, tenerissimo al cuore, è completato da un brodo che sa di terra umida e primavera.
Un gesto teatrale accompagna l’arrivo del gambo di carciofo arrostito e infilzato su spiedo, servito in una ciotola colma di carbone acceso, con una glassatura al miso e sesamo che ne amplifica la struttura. L’aroma di brace che sale verso il naso mentre lo si porta alla bocca è un invito a rallentare, advert ascoltare anche con l’olfatto. Qui l’elemento scartato diventa protagonista, e ogni boccone un recupero di memoria agricola.
Eleganza pura nel piatto del calamaro, ridotto a un velo candido che copre un ripieno vegetale dai sapori marini, un vero e proprio capolavoro artistico, scultoreo. Si scioglie al palato come seta calda, con il profumo della costa in primavera.
Il finocchio alla brace è invece il trionfo del dolce vegetale: il suo cuore tenerissimo si adagia su una crema della sua barba, con tocchi d’arancia e sishimi a punteggiare la composizione come piccoli fiori di spezia.
La rana pescatrice avvolta in pelle di pollo è il piatto che non ti aspetti. Una spirale compatta, quasi un rotolo, viene servita su una crema di taccole e fagiolini. L’affumicatura appena percettibile bilancia l’umami naturale del pesce e dona profondità al boccone.
Il tortello di coda di manzo, con carota fermentata e jus di coda di manzo intenso, è il piatto della memoria carnivora: un contrasto tra il nero e il rosso che si fa gesto pittorico, reso ancora più vivido dalla salsa di carote e zenzero che colora il fondo come una pennellata di Kandinskij.
Il dessert – Biancofiore – è una chiusura delicata e intelligente. La torta paradiso si trasforma: diventa soffice base per una namelaka al limoncello, accompagnata da limoni salati, crumble speziato e un sorbetto che profuma di costiera e di infanzia. Una positive dolce, sì, ma anche acida, salina, affumicata: come a dire che la dolcezza vera non è mai semplice, ma sempre complessa.
A rendere l’esperienza completa, gli abbinamenti enologici curati dal sommelier Francesco Gargiulo, figura centrale del progetto, affiancato in sala dalla sorella Fiorenza. La carta dei vini, che conta oltre 160 referenze, spazia con consapevolezza tra Campania, Italia e qualche incursione internazionale, con verticali importanti e chicche da veri appassionati.
Vrasa non è solo un ristorante, è un invito a rallentare, ascoltare, condividere. Una cucina che non vuole stupire a tutti i costi, ma convincere con coerenza, gusto e rispetto. Una di quelle esperienze che, proprio perché non cercano di essere “le più belle che abbiate mai vissuto”, finiscono per diventarle davvero.