L’illusione dell’originalità in cucina
In cucina, come nell’arte, nella moda o nella musica, l’originalità è spesso un’illusione. Ogni piatto, per quanto sorprendente o innovativo, nasce da qualcosa di già visto, già vissuto, già cucinato. Ingredienti, tecniche e combinazioni si rincorrono nel tempo, evolvono e si trasformano, ma raramente partono da zero.
L’industria gastronomica ha sempre premiato la creatività. Eppure, è facile confondere innovazione con reinvenzione. Il problema non è solo accademico: quando un piatto rivoluzionario viene presentato da uno chef diverso da chi lo ha ideato, la questione si fa spinosa. E lo sa bene Davide Scabin, chef italiano noto per la sua avanguardia, oggi testimone diretto di questo “paradosso dell’innovatore”.
Le dichiarazioni di Davide Scabin: voce di un precursore dimenticato
«Alla superb subisco il paradosso dell’innovatore. Chi è troppo avanti finisce per stare nell’ombra». Così si è espresso Davide Scabin in un’intervista recente al Corriere della Sera, rammaricandosi per non essere stato riconosciuto come l’ideatore di piatti oggi celebrati da altri chef stellati.
Chef del celebre ristorante Combal.Zero di Rivoli (oggi chiuso), Scabin ha fatto la storia della cucina sperimentale italiana, portando avanti progetti pionieristici ben prima che la cucina molecolare o il foraging diventassero mainstream.
Ma cosa è accaduto di preciso? Scabin fa due esempi molto chiari: la sua Test Salad del 2008 e la Zuppizza del 2004, che negli anni successivi sarebbero ricomparse – secondo lui – sotto nuove vesti nei menu di altri ristoranti di fama mondiale.
La Test Salad e Disfrutar: coincidenze o ispirazioni?
Il primo caso citato da Scabin riguarda il ristorante Disfrutar di Barcellona, creatura degli ex chef di El Bulli. Un locale osannato dalla critica, entrato nella prime 5 dei World’s 50 Greatest Eating places. In un video diventato virale, si vede un’insalata presentata con rigore coreografico: foglie e germogli da mangiare in una precisa sequenza.
Scabin, vedendo quel piatto, ha un déjà-vu. È la Test Salad, presentata nel 2008 nel suo Combal.Zero: un’insalata-servizio in cui l’ospite riceveva un foglio da compilare con una penna, scegliendo come comporre e consumare l’insalata. Un gesto provocatorio che fondeva cucina e concettualità.
«Quella è la mia Test Salad, pari pari», cube con amarezza. Il dubbio non è sulla qualità del piatto catalano, ma sulla mancanza di riconoscimento. È davvero possibile che in due cucine si sia arrivati alla stessa concept in modo indipendente?
Zuppizza vs. Ricordo di uno Sbaglio: due piatti, una storia
Secondo caso. Il pizzaiolo connoisseur Franco Pepe, celebre per il suo ristorante Pepe in Grani, presenta un piatto dal titolo evocativo: “Ricordo di uno Sbaglio”. Si tratta di una combinazione di crema di mozzarella, purè di pomodoro e purè di basilico, con una fetta di pane adagiata sopra. Un piatto poetico, simbolico, che racconta la storia di un errore diventato capolavoro.
Scabin aveva già proposto qualcosa di molto simile nel 2004: la Zuppizza, servita con una struttura praticamente identica. Anche in questo caso, lo chef piemontese non accusa Pepe di plagio, ma solleva una riflessione importante: serve una memoria storica anche per i piatti, altrimenti rischiano di essere dimenticati o attribuiti erroneamente.
Il Tataky di melanzane e il ritorno alla naturalizzazione
Scabin ricorda anche un terzo piatto: il Tataky di melanzane, presentato nel 2006. All’epoca fu accolto con freddezza: period troppo semplice, troppo vegetale, in un’epoca in cui dominavano le sferificazioni e i gel fluidi. Anni dopo, con la filosofia del foraging e della cucina naturale portata avanti da René Redzepi (Noma, Copenaghen), lo stesso tipo di approccio è diventato un simbolo di raffinatezza e sostenibilità.
Anche in questo caso, chi anticipa i tempi paga il prezzo dell’incomprensione. Ma la domanda resta: dove finisce l’ispirazione e dove comincia la copia?
Creatività vs. memoria collettiva culinaria
La cucina non è un algoritmo. È cultura, tradizione, intuizione. E come ogni forma d’arte, attinge alla memoria collettiva. Lo stesso piatto può nascere in due cucine numerous a distanza di anni, senza che ci sia copia. Ma è proprio qui che serve un archivio, una cronologia delle idee, per evitare che la paternità venga dimenticata.
Il paradosso dell’innovatore: chi arriva prima resta indietro?
In ogni campo, gli innovatori corrono un rischio: arrivare troppo presto. Se il pubblico o i critici non sono pronti, l’concept cade nel vuoto. Quando qualcun altro la ripropone – magari con più visibilità o in un’epoca più ricettiva – riceve i meritati applausi. Ma il creatore originale resta nell’ombra.
Caso #1: “Oyster and Pearls” – Keller vs. Robuchon
Un caso emblematico è quello del piatto “Oyster and Pearls”, simbolo del ristorante The French Laundry di Thomas Keller (USA). Si tratta di un’ostrica con perle di tapioca e caviale, servita su crema di sabayon. Un piatto celebrato per la sua audacia e bilanciamento.
Eppure, già nel 1989, Joël Robuchon aveva proposto un piatto molto simile al Jamin, a Parigi: ostrica servita con caviale e crema vellutata. Tecnica diversa, presentazione diversa, ma concetto praticamente sovrapponibile. O ispirato?
Caso #2: “Falso Uovo” – Bottura vs. Adrià
Massimo Bottura, con il suo piatto “Croccantino di foie gras” (2002), ha introdotto un elemento scenico: un finto ghiacciolo che all’interno cela foie gras, mandorle e aceto balsamico. Ma nel 1998, Ferran Adrià serviva un piatto chiamato “Falso uovo”: un tuorlo creato con mango, su guscio d’uovo svuotato, simbolo della cucina illusionista.
Il concetto di trompe l’oeil culinario – ovvero ingannare la vista del commensale – è antico, ma nella cucina moderna è esploso grazie a questi piatti. Chi è arrivato prima? E quanto ha influenzato chi è arrivato dopo?
Caso #3: “Pizza Margherita in 3 Atti” – Cracco vs. Sorbillo
Quando Carlo Cracco suggest la sua pizza connoisseur decomposta, in tre parti (sugo, mozzarella, basilico), molti la considerarono geniale. Ma a Napoli, il maestro Gino Sorbillo aveva già sperimentato versioni di “pizza destrutturata” servita in fasi e ingredienti separati, come forma di dialogo tra tradizione e contemporaneità.
Qui non c’è copia, ma due interpretazioni di una stessa concept. Eppure, solo una ha ricevuto l’onore della critica internazionale.
Ispirazione o plagio? Una linea sottile e difficile da tracciare
Ogni grande chef si ispira a ciò che ha visto, mangiato, letto. Il confine tra ispirazione legittima e plagio non è sempre netto. A volte è il contesto a decidere: se un’concept arriva in un momento propizio, esplode. Se arriva troppo presto, viene ignorata o dimenticata.
Il ruolo della memoria gastronomica: l’archivio invisibile
La cucina ha bisogno di una memoria condivisa. I piatti vanno documentati, raccontati, conservati. I ristoranti dovrebbero creare archivi fotografici, menù storici, bibliografie. Non per rivendicare diritti d’autore, ma per riconoscere il valore delle idee.
La cultura culinaria come forma di linguaggio condiviso
Ogni piatto è un messaggio. Se più cuochi usano lo stesso linguaggio, possono arrivare alle stesse frasi. Questo non toglie valore a nessuno. Ma se c’è una fonte chiara, è giusto dare credito.
I media e la visibilità: chi detta il successo di un piatto?
La fama non sempre segue il merito. A volte, basta che uno chef lavori in una capitale gastronomica, o abbia un ufficio stampa potente, per ricevere più attenzioni. Scabin lo cube chiaramente: «Mi dispiace che nessuno abbia informato Pepe». Ecco il punto: informare, riconoscere, attribuire.
Etica della cucina: serve una “bibliografia” dei piatti?
Forse è arrivato il momento di introdurre un’etica della paternità culinaria. Niente copyright, ma una cultura della citazione, come accade nella musica o nella letteratura.
Verso una cucina trasparente: valorizzare l’concept, non solo il piatto
Oggi più che mai, nella cucina post-pandemia, trasparenza e memoria devono tornare centrali. La sostenibilità non riguarda solo il cibo, ma anche le idee. Dare credito a chi ha avuto un’intuizione prima degli altri è un atto di giustizia, ma anche di onestà intellettuale.
L’importanza di dare credito alla storia, non solo alla moda
Nulla si crea dal nulla, nemmeno nella cucina più sperimentale. Ogni piatto è figlio di un contesto, di una cultura, di una storia. Riconoscere chi ha aperto la strada non toglie valore a chi la percorre oggi. Al contrario, arricchisce il racconto. E la cucina, in fondo, è proprio questo: un racconto che vale la pena tramandare con rispetto.
Nulla si crea, tutto si ricicla: l’eterno ritorno dei piatti famosi