L’evento e i Cappelletti
Cappelletti fatti a mani, ripieni con carne di pollo, manzo, maiale e salame ferrarese, aromatizzati con la cannella. Sono tirati a mano da una esperta sfoglina, la signora Rosella, per la mattinata di degustazione al Palazzo dei Cappuccini Artwork Relais, il bel resort ospitato in un convento fondato dall’ordine dei Frati Cappuccini, risalente al 1879, al corso Vittorio Emanuele di Napoli.
Casale del Giglio: La Cantina
Casale del Giglio, la nota azienda nell’Agro Pontino creata da Dino Santarelli nel 1967 (anno nel quale Dino acquista i terreni in località Le Ferriere, 50 km a sud di Roma), in un luogo nel quale nessuno aveva mai puntato alla produzione di vini di eccellenza. Furono poi il figlio Antonio, che aveva iniziato a 25 anni a collaborare con il padre nella tenuta di famiglia, e l’enologo Paolo Tiefenthalter, che ancora oggi segue la produzione, advert avviare un nuovo corso. Iniziò così la sperimentazione su 57 vitigni, alla ricerca della migliore interazione qualitativa con il microclima aziendale.
L’Origine dei Cappelletti nell’Agro Pontino
Ma cosa c’entra il Cappelletto di Ferrara? Questa specialità è realizzata nella Pontinia perchè, a dispetto del nome, è tutta, in realtà, dell’Agro Pontino. Infatti, quasi un secolo fa, dal Nord-Est d’Italia arrivarono famiglie intere per i lavori di bonifica delle paludi pontine e con loro arrivarono le loro tradizioni, i loro dialetti, la loro cucina. I cappelletti viaggiarono con loro e, inevitabilmente, ne è nata una ibridazione: l’incontro con le materie prime della terra pontina che hanno conferito nuove sfumature di sapore. Quella del Cappelletto di Ferrara è, dunque, la storia di una migrazione gastronomica che ha saputo mantenere intatta la preparazione attraverso le generazioni. Ancora oggi nel territorio di Pontinia si possono gustare gli stessi cappelletti di cento anni fa con le tonalità espresse dalle produzioni del posto.
I vini di Casale del Giglio
E’ una gamma ampia e fatta di vini di grande perfezione, quella di Casale del Giglio, che lavora con maestria e grande autorevolezza, tra gli assaggiati, Viognier, Shiraz, Cesanese (di Affile e Olevano Romano) e Bellone di Anzio, forte di un territorio che imprime con decisione il marchio di fabbrica minerale di questo areale anticamente abitato, archeologicamente importante e, soprattutto, legato a doppio filo con il mare.
Focus sulla Bellone: Anthium e Radix
La autoctona Bellone, nota ai romani (è citata da Plinio come “uva pantastica“), è il suo capolavoro. Si esprime nelle due be aware etichette proposte in degustazione per la anteprima: l’Anthium 2024 e il Radix 2020. Casale del Giglio, con i suoi ceppi a piede franco con più di 60 anni, lascia parlare questa varietà attraverso la caratteristica che è, storicamente, la sua maggiore capacità nelle zone vicine alla costa: l’abbraccio succoso e infinito con il mare. In questi due vini, che certamente ogni consumatore bianchista non può non amare per la loro personalità, il Bellone è lasciato esprimersi con una mineralità galoppante, pur nella polposità del frutto di base, che risulta masticabile e sontuoso. Stoffa che ha, di fatto, anche in natura.
La vinificazione del Radix
Merito di una vinificazione in bianco che contempla macerazione, pressatura soffice e vinificazione con soli lieviti indigeni. La estrazione degli aromi dalle bucce spesse del Bellone, poi, diventa spinta nel Radix, dove essa è condotta per quarantotto ore a temperatura ambiente in tonneaux aperti in alto. Dopo la pressatura soffice, la fermentazione – sempre in legno da 400 litri – è protratta per due settimane. Il progetto del Radix, un vino vellutato e ipnotico, va avanti con l’elevazione in legno per due anni, un passaggio in anfora e un lungo affinamento in bottiglia.
L’abbinamento: Cappelletti e Radix
Cappelletti e Radix 2020, insieme, hanno davvero un senso, oltre la efficiency, per una volta: questi piccoli gioielli di artigianato alimentare, che prendono forma sotto le mani delle sfogline con una certa semplicità, in effetti, sono il frutto di un lavoro preciso e metodico e il loro gusto è tutt’altro che semplice. Sono, in effetti, un piccolo scrigno pronto alla esplosione di sapore, che avviene in bocca e che lascia una lunga scia. Un pò come lo stesso vino fa.
Altri abbinamenti: Bollito e Cesanese, Mater Matuta
Stesso ragionamento per il bollito, fatto di carne mista cotta lungamente, tanto si sfalda al solo tocco della forchetta. Un piatto semplice, umile e diritto all’obiettivo. Qui il Cesanese, in particolare nella sua versione “base” della azienda, il Matidia 2023, dal nome della nobildonna romana che ebbe il titolo di “Augusta” in quanto divinizzata. Marasca e extra fresche e succose, alcune be aware speziate, su una gradevole sapidità di base, caratterizzano questo bicchiere che mostra grande bevibilità, tanto che la azienda ne consiglia in servizio leggermente fresco. Mentre Mater Matuta 2019, con un naso chic che ti trasporta inaspettatamente ovunque nel mondo, nell’Olimpo dei grandi vini francesi, con la sua bocca appagante e ricca, può essere la chiosa di ogni pasto o la sottolineatura di ogni momento che ne meriti l’accompagnamento. Non ha limiti di abbinamento.